martedì 8 dicembre 2015

CONSIDERAZIONI E RIFLESSIONI GENERALI SUGLI STADI DI POTENZA DEGLI AMPLIFICATORI VALVOLARI PER CHITARRA ELETTRICA

                                                                  INTRODUZIONE
Ho ritenuto opportuno scrivere queste righe perché ho sviluppato e messo a punto amplificatori dedicati alla chitarra elettrica concretamente diversi dai soliti e di illustrare in maniera più chiara ed esaustiva possibile le mie motivazioni tecniche e gli obiettivi prefissati. La lettura e, probabilmente, la rilettura del mio prolisso monologo (scusate l'autoironia), oltre allo scopo prefissato, mi auguro che aiuteranno anche a “svelare” ad alcuni chitarristi desiderosi di capire, principianti e non, come funzionano queste benedette valvole e, ai più attenti ed esigenti, alcuni dati di fatto che, ritengo, dovrebbero essere oggetto di riflessione. Si tratta, in pratica, di alcune nozioni basilari riguardanti proprio gli amplificatori, elementi per noi fondamentali in quanto interagiscono con le stesse chitarre in una sinergia tale da porre in essere un unico strumento musicale. Credo, infatti, di poter affermare senza tema di smentite che non sia sufficiente parlare di chitarra elettrica riferendosi alla sola tecnica liutistica, in quanto anche l'elettronica e l'elettroacustica sono necessariamente coinvolte affinché la musica che esce dalle nostre dita possa essere trasdotta e potenziata ad un livello sufficiente per “muovere l'aria” in modo chiaramente udibile.
                                                            
   L'amplificatore da chitarra elettrica per antonomasia, comunemente inteso, è senz'altro valvolare, per quanto non manchino realizzazioni a stato solido tutt'altro che deludenti (personalmente ho un bel ricordo dei finali monofonici Hughes & Kettner CF100 di un amico). Combo o stack che sia, la struttura di questa macchina è sempre riconducibile, come ben sapete, a tre sezioni essenziali, ovvero il preamplificatore (a uno o più canali che sia), il finale o stadio di potenza e gli altoparlanti.
Dal titolo che ho dato a questo articolo si evince subito che in questa sede l'attenzione verrà focalizzata intorno alle strutture circuitali (o forse, più propriamente: alla struttura; più avanti capirete) riguardanti gli stadi di potenza.
I contenuti di questo articolo serviranno, una volta chiari, a comprendere perché gli amplificatori valvolari, sui quali io sto sperimentando da anni, hanno un suono e, ancor di più, una suonabilità diversi da quelli ai quali sia i costruttori industriali che i cosiddetti “boutique” vi hanno sempre abituato. Devo, comunque, ammettere che nei miei progetti ci sono differenze concettuali rilevanti anche al di fuori dei finali di potenza. Anche i miei diffusori acustici (casse o speaker cabinet, come volete chiamarli…) ritengo siano curati in aspetti che invece nei “soliti” vengono puntualmente tralasciati. Dicevo, ogni amplificatore è, infatti, un insieme sinergico di parti che cooperano intimamente e non un un’associazione casuale di elementi che lavorano ognuno per conto proprio.
Mi impegnerò nel dare a questo articolo un taglio il più possibile pratico e discorsivo, ricorrendo a concetti tecnico-scientifici lo stretto indispensabile (e in modo non necessariamente accademico), perché il pubblico al quale mi rivolgo non è composto necessariamente da studenti di elettronica o elettroacustica, ma, piuttosto, da chitarristi elettrici che cercano il suono migliore adoperando soprattutto il loro buon senso... oltre che l'orecchio.
Prima di procedere ad un necessario riassunto storico che (lo spero...) sarà il più stringato e pragmatico possibile, cerchiamo di fare mente locale su alcuni dati di fatto riguardanti i più tipici e noti valvolari che dovrebbero essere familiari a tutti.
                                           
                                         UN’OCCHIATA ALLE CARTE IN TAVOLA.
Dunque:
  1. le valvole preamplificatrici, tipicamente, sono tutte ECC83 / 12AX7, compresa (lo sottolineo) quella che presiede lo stadio sfasatore / pilota (“soltanto” pilota nei finali single ended, che, purtroppo, sono solo una ristretta minoranza e sarebbero capaci di soddisfare le esigenze della maggior parte dei chitarristi senza scomodare necessariamente i pur ottimi push-pull);
  2. le valvole di potenza sono dei pentodi o dei tetrodi a fascio, comunque connessi a pentodo. Alla NOTA (1) il compito di chiarire le differenze strutturali e funzionali esistenti fra i pentodi propriamente detti e quelli che, invece, rispondono correttamente al nome di tetrodi a fascio. Nel prosieguo dell'articolo verranno chiamati tutti pentodi, potendo assumere come secondarie le differenze intercorrenti fra le due tipologie.
  3. tranne poche eccezioni, come i VOX della serie AC o i Laney della serie LC (dove le EL84 sono COMUNQUE connesse a pentodo), al blocco schematico “sfasatore-pilota / stadio di potenza / trasformatore di uscita” è applicato un anello di controreazione. E’ necessario capire, anche solo a grandi linee, cos’è e a cosa serve la controreazione di loop o ad anello chiuso o Negative Feed Back, come la si voglia chiamare. A tale scopo dovrebbe essere di aiuto la NOTA (2).

                                  RIASSUNTO DELLA STORIA DELL'AMPLIFICAZIONE

La storia dell’amplificazione ebbe inizio quando, nella prima decade del ‘900, il fisico americano Lee De Forest, che stava conducendo esperimenti sul diodo termoionico (o termoelettronico) inventato da Alexander Fleming pochi anni prima, aggiunse a questi un terzo elettrodo. Nacque così il triodo. Per esattezza si trattava del triodo a riscaldamento diretto (DHT). Questa nuova valvola aveva l’anodo o placca, un filamento di tungsteno simile a quello di una lampadina ad incandescenza e la griglia controllo. Il filamento fungeva, contemporaneamente, sia da filamento riscaldatore che da catodo. Ricordiamo che sotto il vetro di ogni valvola, come nelle menzionate lampadine a incandescenza, è stato creato il vuoto spinto, ovvero è stata aspirata via l’aria.
                                       
                                               IL TRIODO COME AMPLIFICATORE

A questo punto è necessario spiegare come funziona il triodo e come fa ad amplificare un segnale elettrico variabile nel tempo, per esempio quello derivante dal movimento oscillatorio della corda di una chitarra elettrica, che si sposta avanti e indietro rispetto ad una posizione di riposo che possiamo assumere come zero centrale.
Si applica una tensione continua (di valore fisso) tra anodo e catodo, collegando il positivo all'anodo e il negativo al catodo. Tale tensione viene appunto chiamata anodica (Vak) e, nel caso venisse invertita di polarità, non scorrerebbe nella valvola alcuna corrente (anche se il filamento fosse regolarmente acceso), per cui questi dispositivi vennero chiamati proprio valvole.
La corrente elettrica (flusso di elettroni) scorre partendo dal catodo per essere raccolta dall'anodo, dopo aver attraversato le spire della griglia controllo, e la sua intensità è proporzionale alla Vak.
Un'altra tensione, comunque di valore più basso (solitamente MOLTO più basso) di quella anodica, viene applicata tra la griglia e il catodo, con polarità tale da assumere la griglia come negativo e il catodo come positivo. Questa nuova tensione, detta “negativo di griglia” o -Vgk tende a respingere il flusso di elettroni verso lo stesso catodo che li ha generati, essendo il suo campo elettrico di polarità opposta a quello generato dalla Vak.
E' intuitivo che per ottenere la situazione di equilibrio, cioè di annullamento della corrente che fluisce verso l'anodo (interdizione), la tensione negativa da applicare tra griglia e catodo avrà un valore più basso di quella anodica Vak, essendo la griglia fisicamente più vicina al catodo di quanto lo è l'anodo.
In pratica, una volta determinato il valore di Vak, viene scelto anche il valore di -Vgk opportuno, per fare in modo che la corrente anodica di riposo (Ia) assuma un valore che possiamo, in prima approssimazione, ritenere a metà strada tra l'interdizione (corrente zero) e la corrente massima che può essere costantemente sostenuta dal dispositivo. Tale valore massimo viene indicato dal costruttore.
Per fare un esempio vagamente realistico ipotizziamo un triodo di potenza simile ad una 2A3 e supponiamo che venga polarizzato a riposo con una Vak = 250V; Vgk = -45V; da cui conseguono una Ia = 60mA e relativa potenza dissipata (Pd) = 15W.
Tutto ciò riguarda la polarizzazione a riposo del triodo, cioè la sua condizione di funzionamento quando non gli viene fatto amplificare alcun segnale. Ecco perché le valvole scottano già poco dopo che avete acceso l'amplificatore, anche se non avete ancora suonato la chitarra.
Vediamo, ora, cosa succede quando sovrapponiamo alla -Vgk, un segnale di tensione periodico come potrebbe essere, per semplificare il discorso, una sinusoide a 50 Hz con valore picco-picco di 10V, che arriva, cioè, da zero a +5V, riscende a zero, arriva a -5V e poi torna nuovamente a zero per ricominciare un altro ciclo uguale al precedente.
Otterremo che la tensione -Vgk verrà modulata dal valore di “bias” prefissato a -45V In “modo sinusoidale” (passatemi l'espressione) da -40 a -50V, secondo l'andamento del segnale da amplificare descritto poc'anzi.
Quando la Vgk tocca il valore di -40V (quello meno negativo), la corrente anodica toccherà, contemporaneamente, il valore più alto, diciamo (dipende dalla valvola e dalla Vak) 60 + 25 = 85 mA. Quando, invece, tocca il valore più negativo, di -50V, la Ia scenderà a 60 – 25 = 35 mA.
Adesso supponiamo di aver collegato un trasformatore di uscita, anzi, più semplicemente, un resistore con un capo collegato all'anodo della valvola e l'altro capo collegato al positivo dell'alimentatore anodico.
La tensione erogata dall'alimentatore anodico è di 490V e il resistore ha un valore di 4000 Ohm.
Sia il nostro triodo che, di conseguenza, essendo collegati in serie, anche il resistore (detto di carico anodico) sono attraversati dalla stessa corrente che, a riposo, è di 60 mA.
Scorrendo la Ia nel resistore, avremo che, secondo la legge di Ohm per cui V = R x I, ai capi di questo troveremo una caduta di tensione di 4000 x 0,06 = 240V.
Sommando questi 240V ai 250 che cadono tra anodo e catodo della valvola, ritroviamo i 490V che eroga l'alimentatore.
Torniamo, ora, alla variazione di + e – 25 mA che ha modulato i 60 mA di riposo...
Nel momento in cui la corrente istantanea raggiunge il picco di 85 mA, sul resistore anodico la caduta di tensione raggiunge 0,085 x 4000 = 340V.
Nell'istante, invece, nel quale la corrente scende a 35 mA, la tensione sul resistore scende a 0,035 x 4000 = 140V. La variazione di tensione sul resistore anodico è stata di ben 340 – 140 = 200V picco/picco.
Se, adesso, teniamo conto che a provocare questa variazione di 200V sul resistore è bastato applicare al circuito di griglia un segnale della stessa forma, ma di soli 10V p/p ci accorgiamo che il nostro triodo ha esibito un fattore di amplificazione in tensione di 200 : 10 = 20 (numero puro).
Per questo motivo le valvole, come anche i transistori ad effetto di campo o unipolari (JFET e MOSFET) si dicono dispositivi attivi (in quanto capaci di amplificare un segnale) comandati in tensione.
Ciò a differenza dei transistori bipolari (NPN e PNP), la cui corrente di collettore (il loro “anodo”) viene controllata tramite un'altra corrente, detta di base. Per questo si dicono dispositivi comandati in corrente.
Riprendiamo il discorso. Il segnale così amplificato può essere utilizzato da un carico (chiamato, appunto, utilizzatore) posto con un capo a massa e l'altro collegato al punto di congiunzione tra anodo e resistore anodico. Tra il carico utilizzatore e l'anodo viene posto un condensatore, il quale lascia passare il segnale amplificato, in quanto variabile, mentre blocca la componente continua dovuta alla tensione Vak, che avrebbe effetti nefasti.
Siamo quasi giunti ad enucleare uno dei punti cardine di questo articolo. Prima, però, devo ancora parlare degli aspetti REALI del pilotaggio delle valvole, dopo averne considerato quelli puramente teorici!
Intanto le dimensioni fisiche dei conduttori costituenti la griglia controllo e il catodo sono tutt'altro che infinitesimali e, quindi, costituiscono le armature di un condensatore avente come dielettrico il vuoto. Tale condensatore, mentre viene applicato al circuito di griglia il segnale da amplificare, deve essere alternativamente e continuamente caricato e scaricato, affinché il segnale pilota venga effettivamente “sentito” dal flusso di elettroni che percorre la valvola dal catodo all'anodo.
Questo vale per tutti i triodi e i pentodi, ma il problema si avverte concretamente nel caso delle valvole di potenza, alle quali mi sto riferendo in particolare.
Tanto più lo stadio precedente (o pilota) è capace di erogare corrente, tanto più questa capacità parassita verrà caricata e scaricata velocemente, minimizzando così gli effetti di questo problema concreto.
Il vuoto spinto creato all'interno del vetro, inoltre, non è mai perfetto e, insieme all'aria residua, negli spazi tra gli elettrodi vagano altre molecole allo stato gassoso prodotte durante il funzionamento della stessa e non completamente riassorbite dal getter.
Eccoci al dunque. A causa di queste caratteristiche intrinseche delle valvole reali, la griglia “tira” dallo stadio che la pilota una certa quantità di corrente, associata al segnale di tensione che sarebbe dovuto bastare, TEORICAMENTE, a comandare la valvola.
L'entità di questa corrente indesiderata aumenta tanto più quanto il potenziale della griglia viene portato dal valore di “bias” (quello che, come abbiamo visto, determina congiuntamente alla Vak, l'intensità della corrente anodica di riposo) verso lo zero (ovvero dove la griglia si trova alla stesso potenziale del catodo).
Questa corrente, già di valore tutt'altro che trascurabile, aumenta repentinamente quando la tensione di pilotaggio passa a valori positivi, ovvero sconfinando dalla classe di funzionamento A1 alla classe A2.
Domandone dal fondo dell'aula: “professò, ma chi suona meglio, la classe A1 o la classe A2?” Dipende, caro! Se si prova ad andare in A2 senza averne gli “attributi”, ci si rende conto facilmente di fare una figura più decorosa ad accontentarsi della potenza e dinamica garantite rimanendo in A1. Se, invece, il funzionamento in A2 è stato implementato con i dovuti crismi, allora a parità di valvola di potenza impiegata, non c'è classe A1 che regga il confronto, sotto ogni punto di vista. Anche la potenza erogata dalla valvola finale è più elevata, raggiungendo, a seconda dei casi, potenze confrontabili con quelle erogate dalle stesse valvole connesse a pentodo e pilotate in classe A1 da una ECC83. La qualità del suono, però, non rimane la stessa………
Dicevo, questo funzionamento si chiama anche, con evidente significato, “in griglia positiva” e comporta che la griglia assuma polarità positiva rispetto al catodo per meno di mezzo periodo dell'onda di tensione da amplificare.
Griglia positiva significa anche che questa va ad assorbire parte degli elettroni emessi dal catodo e diretti verso l'anodo per effetto della Vak. Infatti, in quegli istanti, la griglia si comporta proprio in modo analogo all’anodo. In soldoni, questo significa che per pilotare autorevolmente in classe A2 una valvola di potenza, occorre un vero e proprio finalino di... potenza. Altro che ECC83... io per pilotare le 6550 (assiomaticamente connesse a triodo e senza NFB) e le 300B adopero le EL84(!) (sempre connesse a triodo, of course). Si, ciò comporta qualche Watt di consumo in più, rispetto ai piloti implementati con una ECC83, ma non è questo a fare la differenza sulla mia bolletta dell'ENEL... Sui miei timpani, invece, la differenza si sente, eccome.
Pilotaggio corretto in classe A2 comporta, quindi, che la valvola / stadio pilota sia in grado di erogare quantità di corrente elevate, ma deve, nel contempo, essere capace anche di erogarle velocemente e prontamente. In altre parole deve avere anche un’impedenza di uscita sufficientemente bassa. La ECC83 l’impedenza di uscita bassa può averla quando venga connessa a inseguitore catodico (il cathode follower) ma la QUANTITA’ di corrente erogabile quella è e quella rimane. Inoltre, uno stadio pilota progettato per pilotare la o le valvole finali in classe A2 deve essere capace di erogare uno swing di tensione indistorta superiore a quella richiesta per il pilotaggio in semplice classe A1. Riprendendo l’esempio già fatto, dove la griglia è polarizzata a -45V, si rileva come, per il pieno pilotaggio in classe A1, sia necessario uno swing massimo di 90V p/p. Per “sfondare” consistentemente in classe A2, invece, direi che sarebbe opportuna una prestanza di almeno 120V p/p indistorti. I vantaggi del pilotaggio (vero) in classe A2 dei triodi o pentodi di potenza connessi a triodo li ho già elencati in altra parte di questo articolo.
Adesso è giunto il momento di riflettere sul fatto che fin qui abbiamo necessariamente ragionato in linea di principio, per comprendere meccanicamente i principi fisici alla base del funzionamento delle valvole. Non avevamo, però, ancora preso in considerazione che nella realtà, almeno nel nostro campo d’interesse, le valvole sono chiamate ad amplificare segnali MUSICALI e non stazionari!
Mentre si suona la chitarra o si riproduce un CD alle griglie controllo giungono, continuamente, segnali complessi ricchi di armoniche di intensità e frequenza anche molto elevate, che richiederebbero sconfinamenti dinamici in classe A2. Più spesso di quanto non si pensi, i piloti tradizionali non posso assecondare una corretta e “imparziale” amplificazione di questi segnali. Ne consegue che le armoniche direttamente interessate vengono “tosate” e reimpastate con il resto dello spettro armonico, determinando, tanto più la manopola del volume viene puntata verso il 10, un “impallamento” del suono che tende ad andare insieme, con compressione dinamica, suono affaticante e opacizzato, bassi rigurgitanti, tono “plasticoso” e impastato (anche grazie alla NFB). Mi dispiace dovervelo dire, ma in tanti anni di esperienza diretta con i chitarristi, dove più, dove meno, queste sono le prestazioni che ho sentito da testate e combo commerciali, TUTTI equipaggiati con una ECC83 - 12AX7 come pilota / sfasatrice, le finali connesse a pentodo e la NFB necessariamente applicata. Quando ci si suona a basso volume, invece, come è normale nella vita quotidiana, il suono si rivela freddino e falso, cosa che senza stupore sento già anche ascoltando su YouTube anche le prove di amplificatori italiani molto blasonati e in auge. Mi rendo conto che ciò possa essere anche molto difficile da credere e sembrare pura demagogia di “uno che vuole solo tirare l’acqua al mulino suo” (aspetto perfettamente normale e comprensibile), per il semplice fatto che non avete mai avuto un termine di paragone adatto. Richieste di confronto all’americana, oltre ai “soliti” video che pubblicherò anch’io su YouTube, infatti, sono ciò che mi aspetto da chitarristi di buona volontà e mente aperta… purché non abitino troppo lontano da casa mia, ovviamente.
Dal canto mio, dovendomi spremere le meningi e lavorare sodo per realizzare il sogno di ottenere risultati, POSSIBILISSIMI, senza compromessi, ho preferito, potendo scegliere liberamentecon e con un minimo di competenza, salire su cavalli più promettenti. Del resto mi considero un vero artigiano, cioè un uomo che lavora da solo ed è anche, per ciò, possibilitato a produrre solo in piccole serie, ma di oggetti realmente differenti dalla massa.
Torniamo alla storia. Negli anni a venire il triodo permise l’avvio e lo sviluppo di molti settori delle telecomunicazioni e dell’elettronica. I contesti dove serviva un amplificatore audio, per un certo periodo, furono le radio e i cinema. Gli amplificatori erano inizialmente alimentati tramite batterie, perché non era ancora diffusa la distribuzione della corrente di rete domestica. Dopo che questa venne diffusa, sfruttando la proprietà rettificatrice dei diodi a vuoto fu possibile alimentare le valvole tramite la tensione alternata.
Per un certo periodo, però, si continuò ad accendere i filamenti tramite batterie, perché impiegando tensioni alternate il ronzìo che si sentiva negli altoparlanti era forte almeno quanto il segnale amplificato…
Fu così che per risolvere questo nuovo problema vennero inventate le valvole a riscaldamento indiretto. In queste il filamento assunse la sola funzione di riscaldatore, mentre la funzione di catodo emettitore fu devoluta ad un tubino metallico ricoperto di ossidi di stronzio o di bario che circonda fisicamente il filamento ricevendone calore, ma che è da questi elettricamente isolato. In questo modo il ronzìo si è ridotto moltissimo, ma vi sarete accorti dai vostri amplificatori che non è stato del tutto debellato e in parte è ancora colpa del fatto che i filamenti, anche se si tratta di valvole a riscaldamento indiretto, vengono accesi tramite corrente alternata. Non a caso, nei miei preamplificatori e amplificatori (anche quelli per chitarra!) tutte le valvole, tranne quelle di potenza, hanno i filamenti accesi in corrente continua e stabilizzata (ciò grazie alla odierna diffusione di diodi a stato solido e circuiti integrati, mentre con i soli diodi a vuoto non era praticamente possibile implementare alimentatori in DC anche per i filamenti, ne converrete…). Accendo anche i filamenti delle valvole di potenza in DC stabilizzata quando, invece, impiego dei DHT come la mia amata 300B (dalla potenza paragonabile direttamente a quella di una 6550 o KT88 connesse a triodo).
Vennero, inoltre, inventati i pentodi, valvole dotate di anodo, catodo e tre differenti griglie. Questi furono capaci non solo di esibire elevati fattori di amplificazione (altrimenti impossibili da pretendere con i triodi), necessari per poter amplificare i debolissimi segnali radio, ma anche di rendimenti anodici più elevati, a parità di dimensioni fisiche e potenze dissipate a riposo, sempre rispetto ai triodi VEDI NOTA (3). Si continuò, tuttavia, ad utilizzare i triodi come valvole di potanza, perché i pentodi erano (e lo saranno sempre, per natura) affetti da distorsioni e resistenze interne entrambe elevate.
I costi degli amplificatori erano comunque decisamente elevati, anche se la qualità sonica, nonostante le potenze relativamente modeste dei DHT (Direct Heated Triode) era davvero alta. Infatti, l’impulso alla nascita dell’elettronica audio di massa (oggi si dice “consumer”) non si ebbe fino a quando Harold Stephen Black, un ingegnere dell’azienda americana Westinghouse, inventò la sopramenzionata controreazione ad anello o Negative Feed Back.
Per quanto concerne H.S.Black e la retroazione negativa vi inviterei a consultare la wikipedia, dove potete trovare già un'infarinatura sull’argomento.
In questa sede, invece, piuttosto che approfondire aspetti tecnici sugli amplificatori controreazionati che appesantirebbero inutilmente quanto voglio esporre, preferisco parlarne lo stretto necessario descrivendo, piuttosto, perché la NFB viene impiegata e quali vantaggi e svantaggi comporta.
“…poiché tutti i dispositivi elettronici attivi (valvole, transistori bipolari e transistori FET VEDI NOTA (3)) sono dispositivi non lineari (i pentodi connessi a pentodo sono i peggiori, ovvero i meno lineari). L’invenzione della retroazione negativa ha dato la possibilità di ottenere una buona linearità negli amplificatori (in altre parole riduce la distorsione), sacrificando il guadagno. Sacrificando proporzionalmente il guadagno, l’amplificatore ottiene anche un aumento della larghezza di banda. In ogni caso, un amplificatore retroazionato negativamente può essere instabile e talvolta potrebbe oscillare. Una volta risolto il problema della stabilità, l’amplificatore retroazionato negativamente è estremamente utile nel campo dell’elettronica. Black pubblicò un articolo famoso "Stabilized feedback amplifiers" nel 1934”. Brano tratto dalla wikipedia, con qualche piccolo aggiustamento.
Abbiamo visto più sopra che i primi amplificatori con triodi di potenza negli stadi di uscita erano molto costosi e relativamente poco potenti. Abbiamo altresì visto che negli anni seguenti vennero inventati anche i pentodi e i tetrodi a fascio e che questi erano affetti da distorsioni brutte e di livello elevato, oltre che da una resistenza interna molto più alta di quella dei triodi (che si riflette in aumenti considerevoli delle difficoltà di realizzazione del trasformatore di uscita e nel corretto interfacciamento con quest’ultimo VEDI NOTA (5)).
L’invenzione della reazione negativa, quando applicata ad un amplificatore con pentodi nello stadio di uscita (comunque connessi a pentodo), comporta una significativa linearizzazione della funzione di trasferimento delle valvole stesse (riduzione della distorsione armonica) e, contemporaneamente, la riduzione della resistenza interna delle valvole.
Anche la larghezza della banda di frequenze amplificate si allarga, con La NFB.
Il fatto più importante e significativo, comunque, è che questo artificio circuitale ha permesso di produrre amplificatori a costi più bassi dei precedenti, ovvero, più che altro, con un rapporto potenza/costi molto vantaggioso. Dovrebbe essere quantomeno intuitivo comprendere che ottenendo potenze consistenti a basso costo mettendo in campo dei compromessi, la qualità sonica generale, PER QUANTO ACCETTABILE, NON PUO' ESSERE ELEVATA.
In questo modo si producono amplificatori che sfruttano l’elevato rendimento anodico dei pentodi, già meno costosi dei triodi a riscaldamento diretto, con distorsioni MISURATE (su segnali stazionari, NON musicali!!!) bassissime, addirittura paragonabili a quelle degli strumenti di misura.
Un altro fatto da segnalare alla vostra cortese attenzione è che nonostante la più delicata messa a punto degli amplificatori controreazionati ad anello, la NFB permette di costruirli utilizzando con molta precisione componenti dimensionati al pelo, ovvero con i valori strettamente necessari. Anche i costosi trasformatori di uscita ricevono un aiuto praticamente gratuito dalla NFB. Infatti si verifica spesso che pezzi economici che oggettivamente sarebbero poco più che dei fermacarte, con la NFB applicata diventano dei TU dalle caratteristiche elettriche e soniche accettabili. Tutto ciò per un produttore industriale che costruisce in serie rappresenta un’ulteriore fonte di risparmio...
Tutti questi vantaggi in cambio del solo sacrificio di una buona parte del fattore di amplificazione in tensione?
No, signori, ci sono i rovesci della medaglia (si, più di uno)!
Cominciamo dal fatto che, come vi ho ricordato sopra, la valvola che si occupa di generare due segnali sfasati tra loro di 180 gradi per poter pilotare il push pull (semplice o parallelo) di grossi pentodi di potenza, è praticamente sempre la ECC83 / 12AX7.
Devo ricordarvi che le due grandezze fisiche principali che riguardano l’elettronica sono la tensione e la corrente e che la potenza elettrica non è altro che il prodotto aritmetico istantaneo delle due grandezze (per esempio, se in un dato istante un certo resistore è sottoposto alla tensione di 1Volt ed è attraversato da una corrente di 1A, allora sta dissipando 1Watt di potenza). Ci possono essere forti tensioni associate a deboli correnti e viceversa… con tutte le situazioni intermedie che volete.
Come forse saprete, la ECC83 è una valvola realizzata per amplificare IN TENSIONE deboli segnali, appunto, DI TENSIONE come quelli provenienti dalla testina di un giradischi, da un microfono o dai pick up di una chitarra elettrica. Non a caso ha il fattore di guadagno in tensione più elevato nella famiglia delle ECC e altri piccoli doppi triodi che già ci sono noti.
Ognuno dei due triodi singoli che si trovano dentro il vetro di una ECC83 può dissipare, comunque, una potenza massima a riposo (cioè mentre la valvola è accesa ma non amplifica alcun segnale) pari a 1W.
Non a caso la ritroviamo, puntualmente, al primo stadio e immediatamente successivi dei nostri amplificatori.
Se prendete in mano una ECC83 ed una ECC82/12AU7 (le due valvole agli antipodi come prestazioni, nella stessa famiglia) e le osservate da vicino, vi rendete conto che le dimensioni sono le stesse, ma dalle tabelle dati dei costruttori risulta che la ECC82 ha un guadagmo massimo in tensione di circa diciassette (17). Ciò significa forse che la ECC83 è una grande valvola mentre la ECC82 è da gettare alle ortiche? No di certo! Se vengono prodotte entrambe (come pure le altre) è perché ognuna ha, o dovrebbe avere, un suo campo di applicazioni specifiche.
Infatti la ECC82 ha una dissipazione massima dichiarata, per ogni sezione, di ben 2,75W. Ciò dovrebbe far capire subito che si tratta di una valvola capace di condurre (ed erogare sui carichi) correnti significativamente più elevate rispetto a quelle che può erogare una ECC83, avendo le stesse tensioni massime applicabili tra anodo e catodo (Vak = 250V max).
Dai dati pubblicati dai costruttori, infatti, risulta che la ECC82 è una valvola idonea ad applicazioni dove occorre più guadagno in corrente che in tensione, come negli invertitori di fase / piloti di valvole di potenza, inseguitori catodici e preamplificatori di linea, dove il segnale da preamplificare, come quello prelevato dall’uscita di un lettore CD/DVD, è già decisamente più ampio di quello emesso dai pick up passivi di una chitarra.

Non a caso, la ECC82 è una buona valvola pilota quando il push pull è fatto con triodi o con pentodi / tetrodi connessi a triodo NOTA (3), ma non avrebbe abbastanza guadagno in tensione da poterne sacrificare una parte sull’altare della NFB facendone poi rimanere abbastanza da fornire alle griglie controllo dei pentodi uno swing di tensione sufficiente per pilotarle!
RIPRENDERO' LA PUBBLICAZIONE DELL'ARTICOLO AL PIU' PRESTO



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