INTRODUZIONE
Ho
ritenuto opportuno scrivere queste righe perché ho sviluppato e
messo a punto amplificatori dedicati alla chitarra elettrica
concretamente diversi dai soliti e di illustrare in maniera più
chiara ed esaustiva possibile le mie motivazioni tecniche e gli
obiettivi prefissati. La lettura e,
probabilmente,
la rilettura del mio prolisso monologo (scusate l'autoironia), oltre
allo scopo prefissato, mi auguro che aiuteranno anche a “svelare”
ad alcuni chitarristi desiderosi di capire, principianti e non, come
funzionano queste benedette valvole e, ai più attenti ed esigenti,
alcuni dati di fatto che, ritengo, dovrebbero essere oggetto di
riflessione. Si tratta, in pratica, di alcune nozioni basilari
riguardanti proprio gli amplificatori, elementi per noi fondamentali
in quanto interagiscono con le stesse chitarre in una sinergia tale
da porre in essere un unico strumento musicale. Credo, infatti, di
poter affermare senza tema di smentite che non sia sufficiente
parlare di chitarra elettrica riferendosi alla sola tecnica
liutistica, in quanto anche l'elettronica e l'elettroacustica sono
necessariamente coinvolte affinché la musica che esce dalle nostre
dita possa essere trasdotta e potenziata ad un livello sufficiente
per “muovere l'aria” in modo chiaramente udibile.
L'amplificatore
da chitarra elettrica per antonomasia, comunemente inteso, è
senz'altro valvolare, per quanto non manchino realizzazioni a stato
solido tutt'altro che deludenti (personalmente ho un bel ricordo dei
finali monofonici Hughes & Kettner CF100 di un amico). Combo o
stack che sia, la struttura di questa macchina è sempre
riconducibile, come ben sapete, a tre sezioni essenziali, ovvero il
preamplificatore (a uno o più canali che sia), il finale o stadio di
potenza e gli altoparlanti.
Dal
titolo che ho dato a questo articolo si evince subito che in questa
sede l'attenzione verrà focalizzata intorno alle strutture
circuitali (o forse, più propriamente: alla struttura; più avanti
capirete) riguardanti gli stadi di potenza.
I
contenuti di questo articolo serviranno, una volta chiari, a
comprendere perché gli amplificatori valvolari, sui quali io sto
sperimentando da anni, hanno un suono e, ancor di più, una
suonabilità diversi da quelli ai quali sia i costruttori industriali
che i cosiddetti “boutique” vi hanno sempre abituato. Devo,
comunque,
ammettere che nei miei progetti ci sono differenze concettuali
rilevanti anche al di fuori dei finali di potenza. Anche i miei
diffusori acustici (casse o speaker cabinet, come volete chiamarli…)
ritengo siano curati in aspetti che invece nei “soliti” vengono
puntualmente tralasciati. Dicevo, ogni amplificatore è, infatti, un
insieme sinergico di parti che cooperano intimamente e non un
un’associazione casuale di elementi che lavorano ognuno per conto
proprio.
Mi
impegnerò nel dare a questo articolo un taglio il più possibile
pratico e discorsivo, ricorrendo a concetti tecnico-scientifici lo
stretto indispensabile (e in modo non necessariamente accademico),
perché il pubblico al quale mi rivolgo non è composto
necessariamente da studenti di elettronica o elettroacustica, ma,
piuttosto, da chitarristi elettrici che cercano il suono migliore
adoperando soprattutto il loro buon senso... oltre che l'orecchio.
Prima
di procedere ad un necessario riassunto storico che (lo spero...)
sarà il più stringato e pragmatico possibile, cerchiamo di fare
mente locale su alcuni dati di fatto riguardanti i più tipici e noti
valvolari che dovrebbero essere familiari a tutti.
UN’OCCHIATA ALLE CARTE IN TAVOLA.
Dunque:
- le valvole preamplificatrici, tipicamente, sono tutte ECC83 / 12AX7, compresa (lo sottolineo) quella che presiede lo stadio sfasatore / pilota (“soltanto” pilota nei finali single ended, che, purtroppo, sono solo una ristretta minoranza e sarebbero capaci di soddisfare le esigenze della maggior parte dei chitarristi senza scomodare necessariamente i pur ottimi push-pull);
- le valvole di potenza sono dei pentodi o dei tetrodi a fascio, comunque connessi a pentodo. Alla NOTA (1) il compito di chiarire le differenze strutturali e funzionali esistenti fra i pentodi propriamente detti e quelli che, invece, rispondono correttamente al nome di tetrodi a fascio. Nel prosieguo dell'articolo verranno chiamati tutti pentodi, potendo assumere come secondarie le differenze intercorrenti fra le due tipologie.
- tranne poche eccezioni, come i VOX della serie AC o i Laney della serie LC (dove le EL84 sono COMUNQUE connesse a pentodo), al blocco schematico “sfasatore-pilota / stadio di potenza / trasformatore di uscita” è applicato un anello di controreazione. E’ necessario capire, anche solo a grandi linee, cos’è e a cosa serve la controreazione di loop o ad anello chiuso o Negative Feed Back, come la si voglia chiamare. A tale scopo dovrebbe essere di aiuto la NOTA (2).
RIASSUNTO DELLA STORIA DELL'AMPLIFICAZIONE
La storia dell’amplificazione ebbe inizio quando, nella prima decade del ‘900, il fisico americano Lee De Forest, che stava conducendo esperimenti sul diodo termoionico (o termoelettronico) inventato da Alexander Fleming pochi anni prima, aggiunse a questi un terzo elettrodo. Nacque così il triodo. Per esattezza si trattava del triodo a riscaldamento diretto (DHT). Questa nuova valvola aveva l’anodo o placca, un filamento di tungsteno simile a quello di una lampadina ad incandescenza e la griglia controllo. Il filamento fungeva, contemporaneamente, sia da filamento riscaldatore che da catodo. Ricordiamo che sotto il vetro di ogni valvola, come nelle menzionate lampadine a incandescenza, è stato creato il vuoto spinto, ovvero è stata aspirata via l’aria.
IL TRIODO COME
AMPLIFICATORE
A
questo punto è necessario spiegare come funziona il triodo e come fa
ad amplificare un segnale elettrico variabile nel tempo, per esempio
quello derivante dal movimento oscillatorio della corda di una
chitarra elettrica, che si sposta avanti e indietro rispetto ad una
posizione di riposo che possiamo assumere come zero centrale.
Si
applica una tensione continua (di valore fisso) tra anodo e catodo,
collegando il positivo all'anodo e il negativo al catodo. Tale
tensione viene appunto chiamata anodica (Vak) e, nel caso venisse
invertita di polarità, non scorrerebbe nella valvola alcuna corrente
(anche se il filamento fosse regolarmente acceso), per cui questi
dispositivi vennero chiamati proprio valvole.
La
corrente elettrica (flusso di elettroni) scorre partendo dal catodo
per essere raccolta dall'anodo, dopo aver attraversato le spire della
griglia controllo, e la sua intensità è proporzionale alla Vak.
Un'altra
tensione, comunque di valore più basso (solitamente MOLTO più
basso) di quella anodica, viene applicata tra la griglia e il catodo,
con polarità tale da assumere la griglia come negativo e il catodo
come positivo. Questa nuova tensione, detta “negativo di griglia”
o -Vgk
tende a respingere il flusso di elettroni verso lo stesso catodo che
li ha generati, essendo il suo campo elettrico di polarità opposta a
quello generato dalla Vak.
E'
intuitivo che per ottenere la situazione di equilibrio, cioè di
annullamento della corrente che fluisce verso l'anodo (interdizione),
la tensione negativa da applicare tra griglia e catodo avrà un
valore più basso di quella anodica Vak, essendo la griglia
fisicamente più vicina al catodo di quanto lo è l'anodo.
In
pratica, una volta determinato il valore di Vak, viene scelto anche
il valore di -Vgk
opportuno, per fare in modo che la corrente anodica di riposo (Ia)
assuma un valore che possiamo,
in prima approssimazione,
ritenere a metà strada tra l'interdizione (corrente zero) e la
corrente massima che può essere costantemente sostenuta dal
dispositivo. Tale valore massimo viene indicato dal costruttore.
Per
fare un esempio vagamente realistico ipotizziamo un triodo di potenza
simile ad una 2A3 e supponiamo che venga polarizzato a riposo con una
Vak = 250V; Vgk = -45V; da cui conseguono una Ia = 60mA e relativa
potenza dissipata (Pd) = 15W.
Tutto
ciò riguarda la polarizzazione a riposo del triodo, cioè la sua
condizione di funzionamento quando non gli viene fatto amplificare
alcun segnale. Ecco perché le valvole scottano già poco dopo che
avete acceso l'amplificatore, anche se non avete ancora suonato la
chitarra.
Vediamo,
ora, cosa succede quando sovrapponiamo alla -Vgk, un segnale di
tensione periodico come potrebbe essere, per semplificare il
discorso, una sinusoide a 50 Hz con valore picco-picco di 10V, che
arriva, cioè, da zero a +5V, riscende a zero, arriva a -5V e poi
torna nuovamente a zero per ricominciare un altro ciclo uguale al
precedente.
Otterremo
che la tensione -Vgk verrà modulata dal valore di “bias”
prefissato a -45V In “modo sinusoidale” (passatemi l'espressione)
da -40 a -50V, secondo l'andamento del segnale da amplificare
descritto poc'anzi.
Quando
la Vgk tocca il valore di -40V (quello meno negativo), la corrente
anodica toccherà, contemporaneamente, il valore più alto, diciamo
(dipende dalla valvola e
dalla Vak) 60 + 25 = 85 mA. Quando, invece, tocca il valore più
negativo, di -50V, la Ia scenderà a 60 – 25 = 35 mA.
Adesso
supponiamo di aver collegato un trasformatore di uscita, anzi, più
semplicemente, un resistore con un capo collegato all'anodo della
valvola e l'altro capo collegato al positivo dell'alimentatore
anodico.
La
tensione erogata dall'alimentatore anodico è di 490V e il resistore
ha un valore di 4000 Ohm.
Sia
il nostro triodo che, di conseguenza, essendo collegati in serie,
anche il resistore (detto di carico anodico) sono attraversati dalla
stessa corrente che, a riposo, è di 60 mA.
Scorrendo
la Ia nel resistore, avremo che, secondo la legge di Ohm per cui V =
R x I, ai capi di questo troveremo una caduta di tensione di 4000 x
0,06 = 240V.
Sommando
questi 240V ai 250 che cadono tra anodo e catodo della valvola,
ritroviamo i 490V che eroga l'alimentatore.
Torniamo,
ora, alla variazione di + e – 25 mA che ha modulato i 60 mA di
riposo...
Nel
momento in cui la corrente istantanea raggiunge il picco di 85 mA,
sul resistore anodico la caduta di tensione raggiunge 0,085 x 4000 =
340V.
Nell'istante,
invece, nel quale la corrente scende a 35 mA, la tensione sul
resistore scende a 0,035 x 4000 = 140V. La variazione di tensione sul
resistore anodico è stata di ben 340 – 140 = 200V picco/picco.
Se,
adesso, teniamo conto che a provocare questa variazione di 200V sul
resistore è bastato applicare al circuito di griglia un segnale
della stessa forma, ma di soli 10V p/p ci accorgiamo che il nostro
triodo ha esibito un fattore di amplificazione in tensione di 200 :
10 = 20 (numero puro).
Per
questo motivo le valvole, come anche i transistori ad effetto di
campo o unipolari (JFET e MOSFET) si dicono dispositivi attivi (in
quanto capaci di amplificare un segnale) comandati in tensione.
Ciò
a differenza dei transistori bipolari (NPN e PNP), la cui corrente di
collettore (il loro “anodo”) viene controllata tramite un'altra
corrente, detta di base. Per questo si dicono dispositivi comandati
in corrente.
Riprendiamo
il discorso. Il segnale così amplificato può essere utilizzato da
un carico (chiamato, appunto, utilizzatore) posto con un capo a massa
e l'altro collegato al punto di congiunzione tra anodo e resistore
anodico. Tra il carico utilizzatore e l'anodo viene posto un
condensatore, il quale lascia passare il segnale amplificato, in
quanto variabile, mentre blocca la componente continua dovuta alla
tensione Vak, che avrebbe effetti nefasti.
Siamo
quasi giunti ad enucleare uno dei punti cardine di questo articolo.
Prima, però, devo ancora parlare degli aspetti REALI del pilotaggio
delle valvole, dopo averne considerato quelli puramente teorici!
Intanto
le dimensioni fisiche dei conduttori costituenti la griglia controllo
e il catodo sono tutt'altro che infinitesimali e, quindi,
costituiscono le armature di un condensatore avente come dielettrico
il vuoto. Tale condensatore, mentre viene applicato al circuito di
griglia il segnale da amplificare, deve essere alternativamente e
continuamente caricato e scaricato, affinché il segnale pilota venga
effettivamente “sentito” dal flusso di elettroni che percorre la
valvola dal catodo all'anodo.
Questo
vale per tutti
i triodi e i pentodi, ma il problema si avverte concretamente nel
caso delle valvole di potenza, alle quali mi sto riferendo in
particolare.
Tanto
più lo stadio precedente (o pilota) è capace di erogare corrente,
tanto più questa capacità parassita verrà caricata e scaricata
velocemente, minimizzando così gli effetti di questo problema
concreto.
Il
vuoto spinto creato all'interno del vetro, inoltre, non è mai
perfetto e, insieme all'aria residua, negli spazi tra gli elettrodi
vagano altre molecole allo stato gassoso prodotte durante il
funzionamento della stessa e non completamente riassorbite dal
getter.
Eccoci
al dunque. A causa di queste caratteristiche intrinseche delle
valvole reali, la griglia “tira” dallo stadio che la pilota una
certa quantità di corrente, associata al segnale di tensione che
sarebbe dovuto bastare, TEORICAMENTE, a comandare la valvola.
L'entità
di questa corrente indesiderata aumenta tanto più quanto il
potenziale della griglia viene portato dal valore di “bias”
(quello che, come abbiamo visto, determina congiuntamente alla Vak,
l'intensità della corrente anodica di riposo) verso lo zero (ovvero
dove la griglia si trova alla stesso potenziale del catodo).
Questa
corrente, già di valore tutt'altro che trascurabile, aumenta
repentinamente quando la tensione di pilotaggio passa a valori
positivi, ovvero sconfinando dalla classe di funzionamento A1 alla
classe A2.
Domandone
dal fondo dell'aula: “professò, ma chi suona meglio, la classe A1
o la classe A2?” Dipende, caro! Se si prova ad andare in A2 senza
averne gli “attributi”, ci
si rende
conto facilmente
di fare una figura
più decorosa ad accontentarsi della potenza e dinamica garantite
rimanendo in A1. Se, invece, il funzionamento in A2 è stato
implementato con i dovuti crismi, allora a parità di valvola di
potenza impiegata, non c'è classe A1 che regga il confronto, sotto
ogni punto di vista.
Anche la potenza erogata dalla valvola finale è più elevata,
raggiungendo, a
seconda dei casi,
potenze confrontabili con quelle erogate dalle stesse valvole
connesse a pentodo e pilotate in classe A1 da una ECC83. La qualità
del suono, però, non rimane la stessa………
Dicevo,
questo funzionamento si chiama anche, con evidente significato, “in
griglia positiva” e comporta che la griglia assuma polarità
positiva rispetto al catodo per meno di mezzo periodo dell'onda di
tensione da amplificare.
Griglia
positiva significa anche che questa va ad assorbire parte degli
elettroni emessi dal catodo e diretti verso l'anodo per effetto della
Vak. Infatti, in quegli
istanti, la
griglia si comporta proprio in modo analogo all’anodo. In soldoni,
questo significa che per pilotare autorevolmente in classe A2 una
valvola di potenza, occorre un vero e proprio finalino di... potenza.
Altro che ECC83... io per pilotare le 6550 (assiomaticamente connesse
a triodo e senza NFB) e le 300B adopero le EL84(!) (sempre connesse a
triodo, of course). Si, ciò comporta qualche Watt di consumo in più,
rispetto ai piloti implementati con una ECC83, ma non è questo a
fare la differenza sulla mia bolletta dell'ENEL... Sui
miei timpani, invece, la differenza si sente, eccome.
Pilotaggio
corretto in classe A2 comporta, quindi, che la valvola / stadio
pilota sia in grado di erogare quantità di corrente elevate, ma
deve, nel contempo, essere capace anche di erogarle velocemente e
prontamente. In altre parole deve avere anche un’impedenza di
uscita sufficientemente bassa. La ECC83 l’impedenza di uscita bassa
può averla quando venga connessa a inseguitore catodico (il cathode
follower) ma la QUANTITA’ di corrente erogabile quella è e quella
rimane. Inoltre, uno stadio pilota progettato per pilotare la o le
valvole finali in classe A2 deve essere capace di erogare uno swing
di tensione indistorta superiore a quella richiesta per il pilotaggio
in semplice classe A1. Riprendendo l’esempio già fatto, dove la
griglia è polarizzata a -45V, si rileva come, per il pieno
pilotaggio in classe A1,
sia necessario uno swing massimo di 90V p/p. Per “sfondare”
consistentemente in classe A2, invece, direi che sarebbe opportuna
una prestanza di almeno 120V p/p indistorti. I vantaggi del
pilotaggio (vero) in classe A2 dei triodi o pentodi di potenza
connessi a triodo li ho già elencati in altra parte di questo
articolo.
Adesso
è giunto il momento di riflettere sul fatto che fin qui
abbiamo necessariamente ragionato in linea di principio, per
comprendere meccanicamente i principi fisici alla base del
funzionamento delle valvole. Non avevamo, però, ancora preso in
considerazione che nella realtà, almeno nel nostro campo
d’interesse, le valvole sono chiamate ad amplificare segnali
MUSICALI e non stazionari!
Mentre
si suona la chitarra o si riproduce un CD alle griglie controllo
giungono,
continuamente,
segnali complessi ricchi di armoniche di intensità e frequenza anche
molto elevate,
che richiederebbero sconfinamenti dinamici in classe A2. Più spesso
di quanto non si pensi, i piloti tradizionali non posso assecondare
una corretta e “imparziale” amplificazione di questi segnali. Ne
consegue che le armoniche direttamente interessate vengono “tosate”
e reimpastate con il resto dello spettro armonico, determinando,
tanto più la manopola del volume viene puntata verso il 10, un
“impallamento” del suono che tende ad andare insieme, con
compressione dinamica, suono
affaticante e opacizzato, bassi rigurgitanti, tono “plasticoso” e
impastato (anche grazie alla NFB). Mi dispiace dovervelo dire, ma in
tanti anni di esperienza diretta con i chitarristi, dove più, dove
meno, queste sono le prestazioni che ho sentito da testate e combo
commerciali, TUTTI equipaggiati con una ECC83 - 12AX7 come pilota /
sfasatrice, le finali connesse a pentodo e la NFB necessariamente
applicata. Quando ci si suona a basso volume, invece, come è normale
nella vita quotidiana, il suono si rivela freddino e falso, cosa che
senza stupore sento già anche ascoltando su YouTube anche le prove
di amplificatori italiani molto blasonati e in auge. Mi rendo conto
che ciò possa essere anche molto difficile da credere e sembrare
pura demagogia di “uno che vuole solo tirare l’acqua al mulino
suo” (aspetto perfettamente normale e comprensibile), per il
semplice fatto che non
avete mai avuto un termine di paragone adatto.
Richieste di confronto all’americana, oltre ai “soliti” video
che pubblicherò anch’io su YouTube, infatti, sono ciò che mi
aspetto da chitarristi di buona volontà e mente aperta… purché
non abitino troppo lontano da casa mia, ovviamente.
Dal
canto mio, dovendomi spremere le meningi e lavorare sodo per
realizzare il sogno di ottenere risultati, POSSIBILISSIMI, senza
compromessi, ho preferito, potendo scegliere liberamentecon
e con
un minimo di
competenza, salire su cavalli più promettenti. Del resto mi
considero un vero artigiano, cioè un uomo che lavora da solo ed è
anche, per ciò, possibilitato a produrre solo in piccole serie, ma
di oggetti realmente differenti dalla massa.
Torniamo
alla storia. Negli
anni a venire il triodo permise l’avvio e lo sviluppo di molti
settori delle telecomunicazioni e dell’elettronica. I contesti dove
serviva un amplificatore audio,
per un certo periodo,
furono le radio e i cinema. Gli amplificatori erano inizialmente
alimentati tramite batterie, perché non era ancora diffusa la
distribuzione della corrente di rete domestica. Dopo che questa venne
diffusa, sfruttando la proprietà rettificatrice dei diodi a vuoto fu
possibile alimentare le valvole tramite la tensione alternata.
Per
un certo periodo, però, si continuò ad accendere i filamenti
tramite batterie, perché impiegando tensioni alternate il ronzìo
che si sentiva negli altoparlanti era forte almeno quanto il segnale
amplificato…
Fu
così che per risolvere questo nuovo problema vennero inventate le
valvole a riscaldamento indiretto. In queste il filamento assunse la
sola funzione di riscaldatore, mentre la funzione di catodo
emettitore fu devoluta ad un tubino metallico ricoperto di ossidi di
stronzio o di bario che circonda fisicamente il filamento ricevendone
calore, ma che è da questi elettricamente isolato. In questo modo il
ronzìo si è ridotto moltissimo, ma vi sarete accorti dai vostri
amplificatori che non è stato del tutto debellato e in parte è
ancora colpa del fatto che i filamenti, anche se si tratta di valvole
a riscaldamento indiretto, vengono accesi tramite corrente alternata.
Non a caso, nei miei preamplificatori e amplificatori (anche quelli
per chitarra!) tutte le valvole, tranne quelle di potenza, hanno i
filamenti accesi in corrente continua e stabilizzata (ciò grazie
alla odierna diffusione di diodi a stato solido e circuiti integrati,
mentre con i soli diodi a vuoto non era praticamente possibile
implementare alimentatori in DC anche per i filamenti, ne
converrete…). Accendo anche i filamenti delle valvole di potenza in
DC stabilizzata quando, invece, impiego dei DHT come la mia amata
300B (dalla potenza paragonabile direttamente a quella di una 6550 o
KT88 connesse a triodo).
Vennero,
inoltre, inventati i pentodi, valvole dotate di anodo, catodo e tre
differenti griglie. Questi furono capaci non solo di esibire elevati
fattori di amplificazione (altrimenti impossibili da pretendere con i
triodi), necessari per poter amplificare i debolissimi segnali radio,
ma anche di rendimenti anodici più elevati, a parità di dimensioni
fisiche e potenze dissipate a riposo, sempre rispetto ai triodi VEDI
NOTA (3).
Si continuò, tuttavia, ad utilizzare i triodi come valvole di
potanza, perché i pentodi erano (e lo saranno sempre, per natura)
affetti da distorsioni e resistenze interne entrambe elevate.
I
costi degli amplificatori erano comunque decisamente elevati, anche
se la qualità sonica, nonostante le potenze relativamente modeste
dei DHT (Direct Heated Triode) era davvero alta.
Infatti, l’impulso alla nascita dell’elettronica audio di massa
(oggi si dice “consumer”) non si ebbe fino a quando Harold
Stephen Black,
un ingegnere dell’azienda americana Westinghouse, inventò la
sopramenzionata controreazione ad anello o Negative Feed Back.
Per
quanto concerne H.S.Black e la retroazione negativa vi inviterei a
consultare la wikipedia, dove potete trovare già un'infarinatura
sull’argomento.
In
questa sede, invece, piuttosto che approfondire aspetti tecnici sugli
amplificatori controreazionati che appesantirebbero inutilmente
quanto voglio esporre, preferisco parlarne lo stretto necessario
descrivendo, piuttosto, perché la NFB viene impiegata e quali
vantaggi e svantaggi comporta.
“…poiché
tutti i dispositivi elettronici attivi (valvole, transistori bipolari
e transistori FET VEDI NOTA (3)) sono dispositivi non lineari (i
pentodi connessi a pentodo sono i peggiori, ovvero i meno lineari).
L’invenzione della retroazione negativa ha dato la possibilità di
ottenere una buona linearità negli amplificatori (in altre parole
riduce la distorsione), sacrificando il guadagno. Sacrificando
proporzionalmente il guadagno, l’amplificatore ottiene anche un
aumento della larghezza di banda. In ogni caso, un amplificatore
retroazionato negativamente può essere instabile e talvolta potrebbe
oscillare. Una volta risolto il problema della stabilità,
l’amplificatore retroazionato negativamente è estremamente utile
nel campo dell’elettronica. Black pubblicò un articolo famoso
"Stabilized feedback amplifiers" nel 1934”. Brano tratto
dalla
wikipedia, con
qualche piccolo
aggiustamento.
Abbiamo
visto più sopra che i primi amplificatori con triodi di potenza
negli stadi di uscita erano molto costosi e relativamente poco
potenti. Abbiamo altresì visto che negli anni seguenti vennero
inventati anche i pentodi e i tetrodi a fascio e che questi erano
affetti da distorsioni brutte e di livello elevato, oltre che da una
resistenza interna molto più alta di quella dei triodi (che si
riflette in aumenti considerevoli delle difficoltà di realizzazione
del trasformatore di uscita e nel corretto interfacciamento con
quest’ultimo VEDI NOTA (5)).
L’invenzione
della reazione negativa, quando applicata ad un amplificatore con
pentodi nello stadio di uscita (comunque connessi a pentodo),
comporta una significativa linearizzazione della funzione di
trasferimento delle valvole stesse (riduzione della distorsione
armonica) e, contemporaneamente, la riduzione della resistenza
interna delle valvole.
Anche
la larghezza della banda di frequenze amplificate si allarga, con La
NFB.
Il
fatto più importante e significativo, comunque, è che questo
artificio circuitale ha permesso di produrre amplificatori a costi
più bassi dei precedenti, ovvero, più che altro, con un rapporto
potenza/costi molto vantaggioso.
Dovrebbe essere quantomeno intuitivo comprendere che ottenendo
potenze consistenti a basso costo mettendo in campo dei compromessi,
la qualità sonica
generale, PER QUANTO ACCETTABILE, NON PUO' ESSERE ELEVATA.
In
questo modo si producono amplificatori che sfruttano l’elevato
rendimento anodico dei pentodi, già meno costosi dei triodi a
riscaldamento diretto, con distorsioni MISURATE (su segnali
stazionari, NON musicali!!!) bassissime, addirittura paragonabili a
quelle degli strumenti di misura.
Un
altro fatto da segnalare alla vostra cortese attenzione è che
nonostante la più delicata messa a punto degli amplificatori
controreazionati ad anello, la NFB permette di costruirli utilizzando
con molta precisione componenti dimensionati al pelo, ovvero con i
valori strettamente necessari. Anche i costosi trasformatori di
uscita ricevono un aiuto praticamente gratuito dalla NFB. Infatti
si verifica spesso che pezzi economici che oggettivamente sarebbero
poco più che dei fermacarte, con la NFB applicata diventano dei TU
dalle caratteristiche elettriche e soniche accettabili. Tutto ciò
per un produttore industriale che costruisce in serie rappresenta
un’ulteriore fonte di risparmio...
Tutti
questi vantaggi in cambio del solo sacrificio di una buona parte del
fattore di amplificazione in tensione?
No,
signori, ci sono i rovesci della medaglia (si, più di uno)!
Cominciamo
dal fatto che, come vi ho ricordato sopra, la valvola che si occupa
di generare due segnali sfasati tra loro di 180 gradi per poter
pilotare il push pull (semplice o parallelo) di grossi pentodi di
potenza, è praticamente sempre la ECC83 / 12AX7.
Devo
ricordarvi che le due grandezze fisiche principali che riguardano
l’elettronica sono la tensione e la corrente e che la potenza
elettrica non è altro che il prodotto aritmetico istantaneo delle
due grandezze (per esempio, se in un dato istante un certo resistore
è sottoposto alla tensione di 1Volt ed è attraversato da una
corrente di 1A, allora sta dissipando 1Watt di potenza). Ci possono
essere forti tensioni associate a deboli correnti e viceversa… con
tutte le situazioni intermedie che volete.
Come
forse saprete, la ECC83 è una valvola realizzata per amplificare IN
TENSIONE deboli segnali, appunto, DI TENSIONE come quelli provenienti
dalla testina di un giradischi, da un microfono o dai pick up di una
chitarra elettrica. Non a caso ha il fattore di guadagno in tensione
più elevato nella famiglia delle ECC e altri piccoli doppi triodi
che già ci sono noti.
Ognuno
dei due triodi singoli che si trovano dentro il vetro di una ECC83
può dissipare, comunque, una potenza massima a riposo (cioè mentre
la valvola è accesa ma non amplifica alcun segnale) pari a 1W.
Non
a caso la ritroviamo, puntualmente, al primo stadio e immediatamente
successivi dei nostri amplificatori.
Se
prendete in mano una ECC83 ed una ECC82/12AU7 (le due valvole agli
antipodi come prestazioni, nella stessa famiglia) e le osservate da
vicino, vi rendete conto che le dimensioni sono le stesse, ma dalle
tabelle dati dei costruttori risulta che la ECC82 ha un guadagmo
massimo in tensione di circa diciassette (17). Ciò significa forse
che la ECC83 è una grande valvola mentre la ECC82 è da gettare alle
ortiche? No di certo! Se vengono prodotte entrambe (come pure le
altre) è perché ognuna ha, o dovrebbe avere, un suo campo di
applicazioni specifiche.
Infatti
la ECC82 ha una dissipazione massima dichiarata, per ogni sezione, di
ben 2,75W. Ciò dovrebbe far capire subito che si tratta di una
valvola capace di condurre (ed
erogare sui
carichi) correnti
significativamente più elevate rispetto a quelle che può erogare
una ECC83, avendo le stesse tensioni massime applicabili tra anodo e
catodo (Vak = 250V max).
Dai
dati pubblicati dai costruttori, infatti, risulta che la ECC82 è una
valvola idonea ad applicazioni dove occorre più guadagno in corrente
che in tensione, come negli invertitori di fase / piloti di valvole
di potenza, inseguitori catodici e preamplificatori di linea, dove il
segnale da preamplificare, come quello prelevato dall’uscita di un
lettore CD/DVD, è già decisamente più ampio di quello emesso dai
pick up passivi di una chitarra.
Non
a caso, la ECC82 è una buona valvola pilota quando il push pull è
fatto con triodi o con pentodi / tetrodi connessi a triodo NOTA (3),
ma non avrebbe
abbastanza guadagno in tensione da poterne sacrificare una parte
sull’altare della NFB facendone poi rimanere abbastanza da fornire
alle griglie controllo dei pentodi uno swing di tensione sufficiente
per pilotarle!
RIPRENDERO' LA PUBBLICAZIONE DELL'ARTICOLO AL PIU' PRESTO
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